Questo pacchetto non lacera solo il PLR – sta smembrando la Svizzera.

Il pacchetto Svizzera–UE cambierebbe radicalmente e irrevocabilmente il nostro Paese. La questione è: chi determinerà in futuro il nostro diritto, Bruxelles o noi? In vista del 1° agosto 2025 il mio appello: intervenite. La nostra patria appartiene alle persone, non alla politica. Uno sguardo al PLR mostra il perché.
Il pacchetto Svizzera-UE non è semplicemente un accordo giuridico, né un fascicolo tecnico volto a semplificare la normalizzazione amministrativa tra la Svizzera e l’UE. Si tratta piuttosto di un insieme maturo di trattati internazionali, un’evoluzione sostanziale degli Accordi Bilaterali I e II, che tuttavia si distingue per un elemento essenziale: l’ancoraggio istituzionale ha, di fatto, l’effetto di un’adesione all’UE in settori chiave come la libera circolazione, l’energia elettrica, la sicurezza alimentare e il traffico aereo - ma senza un reale diritto di codecisione. La Svizzera diventerebbe un membro passivo, ma con obblighi incisivi.
La novità sta nella portata strategica: il pacchetto trasferisce all’UE il controllo determinante sulla sicurezza dell’approvvigionamento, sulla stabilità interna e sulla sovranità economica nazionale in quattro settori centrali. In ultima analisi, sarà l’UE a influenzare in modo sostanziale il futuro benessere della Svizzera. Questo rende inevitabilmente il pacchetto una prova politica di forza per il Paese - oltre ogni frontiera partitica, attraverso tutti gli strati sociali e in ogni regione. Mentre alcuni dichiarano gli accordi già «negoziati» e spostano subito l’attenzione sulla loro attuazione, altri iniziano appena a comprendere cosa sia realmente in gioco: questo Paese rischia di rinunciare al proprio potere decisionale. E alla fine, nessuno vorrà esserne responsabile. Il PLR gioca in tutto ciò un ruolo quantomeno ambiguo - e rischia di andare in pezzi. Le prime crepe sono già visibili. Cerchiamo di ricomporle. E di avviare, finalmente, il dibattito necessario.
Roland Voser, 26 luglio 2025 - in occasione della Festa nazionale svizzera
Qui potete leggere il testo originale in tedesco (Link).
Prologo.
Da quando, il 13 giugno 2025, il Consiglio federale ha avviato la consultazione sul pacchetto Svizzera-UE, qualcosa si è incrinato. Il dibattito politico ha preso una piega diversa. La discussione non verte più su singole questioni tecniche, ma sull’orientamento fondamentale del nostro Paese. All’improvviso, al centro c’è l’identità stessa della Svizzera. La domanda, ormai, è quella essenziale: essere o non essere. Eppure, proprio questa domanda sembra essere evitata da tutti come il diavolo evita l’acqua santa, nella speranza che passi inosservata.
Così, invece di un confronto aperto, assistiamo a dimissioni politiche, dichiarazioni evasive e a un silenzio assordante proprio laddove servirebbero chiarezza e leadership. Quando figure come Gerhard Pfister e Thierry Burkart - protagonisti di primo piano della politica svizzera - si ritirano, non è solo una decisione personale. È il segnale di una rottura. Una frattura nell’identità politica della Svizzera, perché il pacchetto Svizzera-UE mette chiaramente in discussione, in modo profondo e duraturo, la sovranità nazionale.
A questo si aggiunge il rischio che i partiti perdano la propria integrità, perché, mossi da calcoli a breve termine, smarriscono di vista l’interesse del Paese.
E così mi trovo qui, a scrivere, chiedendomi cosa ci attenda. Ho la sensazione che quest’anno il compleanno della Svizzera sarà meno sereno del solito. Ma è proprio per questo che vale la pena guardare in faccia la realtà - e mettere il dito nella piaga.
Il momento di vuoto è assordante.
Due dimissioni, dunque. Due presidenti di due partiti portanti dello Stato. Due silenzi nel momento meno opportuno. La Svizzera si trova davanti alla più profonda ristrutturazione della propria architettura istituzionale dal rifiuto dello SEE - forse addirittura dalla sua fondazione - perché, senza che ce ne accorgessimo, si è iniziato a scavare proprio nelle fondamenta del nostro Paese. Ed è proprio ora che Thierry Burkart (PLR) e Gerhard Pfister (Il Centro) lasciano i loro incarichi. Ciò che ufficialmente viene definito un riorientamento professionale appare, che piaccia o no, come un ritiro dalle proprie responsabilità. Il vuoto che ora si percepisce è evidente (o, per essere precisi, si tratta di due vuoti). Chi guida adesso? Chi ha ancora il coraggio di parlare chiaro?
Intendiamoci bene. La decisione personale merita rispetto. Nessuno, se non ci è passato, può immaginare quanto sia logorante ricoprire simili ruoli. Con il carico aggiuntivo di un mandato al Consiglio degli Stati o al Nazionale, magari accompagnato da un’attività professionale, la pressione diventa disumana - almeno, così me la immagino. Il tutto sotto i riflettori costanti dell’opinione pubblica, che non fa sconti e pretende sempre qualcosa. E tuttavia - o forse proprio per questo - il fatto che due figure così rilevanti si ritirino proprio ora, quando sarebbero più necessarie che mai, lascia i loro partiti orfani di guida e me profondamente perplesso.
Oh, sventurato PLR. Scegli il potere e non il Paese.
Naturalmente ho votato per il PLR, perché sapevo per cosa stava un tempo: responsabilità individuale, libertà, limitazione del potere statale. Il suo allora celebre slogan ha segnato un’intera epoca: «Più libertà, meno Stato». Ma oggi? Cosa ne è rimasto? Di fronte a un trattato che chiede esattamente il contrario. La parola chiave è «adozione dinamica del diritto». Nessuna reale partecipazione alle decisioni. Nessuna possibilità di contribuire in modo costruttivo al processo legislativo, tantomeno su un piano di parità con l’UE. Nessuna possibilità di veto efficace quando qualcosa è inaccettabile per la Svizzera. «O così o niente» - questo sembra il sottotesto. In più, un meccanismo di escalation che esiste solo sulla carta, perché non verrà mai attivato: troppa la paura, troppo forte l’UE. Comprensibile - l’abbiamo vissuto tutti negli ultimi anni e l’abbiamo registrato nella memoria collettiva.
Chi ascolta Thierry Burkart avverte che questo strappo lo ha percepito. Che ha lottato con sé stesso. Che non ha voluto - o potuto - sostenere quel riposizionamento che si profilava. Che non voleva essere il presidente che porta la propria base in un cambiamento di sistema che essa non comprende appieno e le cui conseguenze sono imprevedibili. Il suo passo indietro è comprensibile. Ma non è una buona notizia. Né per il partito, né per la Svizzera. Con Gerhard Pfister almeno un successore c’è già. Ma c’è da temere che, prima che Philipp Matthias Bregy possa entrare davvero in funzione, le decisioni centrali sul pacchetto Svizzera-UE siano già state prese. Oppure anche lui dovrà compiere uno sforzo sovrumano per restare al passo. Un’agenda che supera di gran lunga la velocità del ritmo svizzero - chi l’ha decisa?
Ignazio Cassis, consigliere federale del PLR, sostiene il pacchetto. Ancora nel 2021, aveva pubblicamente premuto il tasto reset nei rapporti con l’UE: via dalla rigidità, verso un nuovo approccio. Era nella posizione di poter proporre una vera svolta. Non contro l’Europa, ma per un modello che facesse giustizia alla Svizzera. Invece tutto è rimasto in sospeso.
Oggi è proprio lui a difendere il pacchetto, spinto anche da Viola Amherd - forse anche per consentirle di stringere la mano alla presidente della Commissione UE. Così Cassis è diventato colui che ha consacrato questa dinamica dell’adozione automatica del diritto europeo come architettura irreversibile del sistema. Viene da chiedersi: si è trasformato, o è stato travolto dagli eventi? Ha capito che il fronte interno al DFAE era troppo vasto contro di lui? Ha cercato l’appoggio dei consiglieri federali di sinistra e di Martin Pfister, il centrista più vicino alla sinistra? Non lo si può biasimare. Ma questo patto, purtroppo, è sbagliato. Meglio nessun pacchetto che un pacchetto cattivo. Cattivo è quello che impone alla Svizzera di rinunciare gradualmente alla propria sovranità.
Oggi interrompere i negoziati sarebbe ancora più difficile rispetto al 2021, quando Guy Parmelin annunciò che «le divergenze tra la Svizzera e l’UE restano profonde». Cosa dovrebbe dire oggi il Consiglio federale se riconoscesse che il pacchetto non ha alcuna chance di ottenere la maggioranza? Si rende conto, il Consiglio federale, del vicolo cieco in cui si è infilato avviando nuove trattative senza avere dietro di sé il sostegno del popolo sovrano?
È evidente che un conflitto aperto tra Burkart e Cassis avrebbe spaccato il PLR e messo in pericolo il secondo seggio in Consiglio federale. Con ogni probabilità. Cassis ha bisogno della sinistra per restare in carica.
E così Burkart se ne va. E con lui se ne va la leadership. Il partito resta - impantanato nel tentativo maldestro di mascherare conflitti di coscienza e calcoli di potere.
Le lotte intestine del PLR rischiano ora di distruggere la Svizzera.
Se questo pacchetto non fosse attualmente sul tavolo, il rischio resterebbe confinato al PLR. Ma con il pacchetto Svizzera-UE in gioco, è coinvolto l’intero Paese. Le dimissioni del presidente uscente del PLR lasciano un vuoto che dovrà essere colmato al più presto. Ma come coordinarsi, se solo il 18 ottobre porterà chiarezza?
Chi prende la parola ora lo fa con voce tecnocratica. Simon Michel sostiene che non si tratti più degli accordi, ma soltanto della loro attuazione. Una cortina fumogena giuridica: l’affermazione è ambigua, se non addirittura fuorviante. Nel comunicato stampa del 13 giugno 2025, il Consiglio federale elenca chiaramente prima i 13 accordi e solo dopo i progetti di legge per l’attuazione. È evidente che sono proprio gli accordi ad essere oggetto della consultazione. Sono la pietra di paragone. Tutto il resto viene dopo - ed è solo esecuzione tecnica.
Nel frattempo, i conflitti rischiano di esplodere apertamente. La bernese Christa Markwalder attacca Filippo Leutenegger su X, chiedendosi chi abbia mai legittimato il PLR zurighese a «silurare così platealmente gli accordi bilaterali III negoziati dal nostro ministro degli esteri liberale-radicale, Ignazio Cassis». E cosa pensare quando Simon Michel, su LinkedIn, dichiara che Christian Wasserfallen «NON rappresenta il nostro partito»? È un tentativo di zittire le voci critiche? È questa l’idea del PLR di un dibattito democratico? Il PLR si sta trasformando in un partito monolitico? Diventa spiacevole - e antidemocratico - quando improvvisamente solo la propria opinione può definirsi linea del partito.
Da una parte, il tentativo di restringere il campo del dibattito non è casuale. È uno strumento di potere: chi controlla il terreno, controlla la narrazione. Dall’altra, è inevitabile che il confronto sfugga di mano: le posizioni sono troppo inconciliabili per permettere una discussione costruttiva e controllata, data la portata colossale della posta in gioco per la Svizzera. E la perdita della supremazia interpretativa è solo questione di tempo.
Grave, però, è che queste manovre di distrazione mettano in secondo piano un diritto fondamentale del popolo sovrano: leggere, comprendere e valutare i trattati prima che diventino realtà giuridica. Da questo punto di vista, questa farsa orchestrata dal PLR - uno dei partiti storicamente fondatori della Svizzera - non è solo indegna, ma pericolosa. Perché contribuisce, a mio avviso, ad aumentare sensibilmente il rischio (o l’opportunità, a seconda dei punti di vista) di una futura integrazione nell’UE, proprio a causa dell’indebolimento del PLR. Per i sostenitori, non poteva andare meglio. Sono seduti in prima fila nel cinema del PLR. E il teatrino dei segreti di Cassis sugli accordi sarebbe già stato sufficiente come spettacolo politico.
Chi mai vorrebbe aderire all’UE senza avere voce in capitolo?
Ho analizzato l’Accordo sull’energia elettrica tra la Svizzera e l’UE («Das Stromabkommen im Spannungsfeld zwischen Integration und Eigenständigkeit.»). Quello che vi si legge non è una semplice apertura del mercato, ma una vera e propria ristrutturazione istituzionale. In futuro, il diritto dell’UE si applicherà direttamente in Svizzera grazie al metodo dell’integrazione, senza necessità di recepimento tramite il diritto interno. Quante volte dovremo ripeterlo prima che venga creduto? In quattro ambiti - elettricità, libera circolazione, sicurezza alimentare e trasporto aereo - si applica esattamente questa architettura. Solo l’allegato I dell’accordo sull’elettricità contiene venti atti giuridici dell’UE, che diverrebbero immediatamente vincolanti anche per la Svizzera (cfr. A-I). A questi si aggiungono tutte le modifiche future e gli aggiornamenti in corso.
Ma non è tutto. Ecco altri esempi concreti tratti dallo stesso accordo:
Mercato elettrico: la Svizzera si impegna ad adottare integralmente e in modo dinamico tutte le metodologie e regole europee per il calcolo delle capacità, la gestione della rete e l’integrazione delle piattaforme (TCM e procedure algoritmiche, v. Allegato III). Queste si applicano direttamente in Svizzera - senza diritto di veto - e possono essere modificate in qualsiasi momento da ACER, ENTSO-E e dalla Commissione europea (cfr. allegato III A-III e articolo 27 capoverso 3 V-V2).
Aiuti di Stato: la Svizzera accetta l’applicazione diretta e dinamica di tutta la normativa UE pertinente - comprese le norme settoriali su energia, ambiente e clima - come indicato nell’Allegato IV. Anche qui: applicazione immediata e obbligo di adeguamento continuo (cfr. allegato IV A-IV, articolo 14 capoverso 2 V-III, articolo 27 capoverso 3 V-V2).
Ambiente: la Svizzera si impegna ad adottare sei direttive ambientali dell’UE (tra cui valutazione d’impatto, qualità dell’aria, protezione delle acque, emissioni industriali), con effetto diretto e aggiornamento automatico (cfr. allegato V A-V e articolo 27 capoverso 3 V-V2).
Energie rinnovabili: l’Allegato VI contiene le normative UE sull’accesso alla rete, promozione e criteri di sostenibilità, anch’esse applicabili direttamente in Svizzera con obbligo di adeguamento (cfr. allegato VI A-VI e articolo 27 capoverso 3 V-V2).
Lo sforzo sarà enorme.
Chi pensa che si tratti solo di questioni tecniche, non ha capito cosa significhi il controllo statale. Non ha capito con quale precisione, sottigliezza e furbizia la burocrazia di Bruxelles si sia avvolta attorno al dito il piccolo e palesemente ingenuo Stato svizzero. Anzi: sta per assorbirlo in silenzio. E se non funziona, allora si ricorrerà – come già annunciato – alla cavalleria di Steinbrück, nel caso gli svizzeri non si mettano in riga. Questo marchingegno si chiama protocollo istituzionale, con meccanismo di escalation e tribunale arbitrale. Su 1117 pagine di testi contrattuali dell'intero pacchetto, oltre un terzo (37%) riguarda esclusivamente ciò che deve accadere in caso di conflitto tra la Svizzera e l'UE. L’UE ha trasformato la cavalleria in paragrafi, ben sapendo che non dovrà mai mobilitarla – perché la Svizzera non vuole più essere il buco della ciambella, ma parte integrante di questa grande UE. Non più ciambella, ma la marmellata al centro del nido.
Lo chiamano "adozione dinamica del diritto". Ma qui l’unica cosa dinamica è la perdita di controllo. Perché anche se la Svizzera rifiuta una nuova norma UE, essa entra comunque in vigore – a titolo provvisorio. L’UE l’ha sancito così, nero su bianco, all’articolo 28 capoverso 3 dell’accordo sull’energia elettrica (cfr. V-V2). E questo significa, nonostante la foglia di fico del testo: è Bruxelles a decidere cosa vale sul territorio svizzero. Non più Berna. Non più i Cantoni. Non più il popolo sovrano. Non più le persone. Che caos ci sarà, quando nessuno saprà più cosa valga “provvisoriamente”: il diritto svizzero o quello dell’UE? O entrambi? E con quali conseguenze? Il diritto svizzero verrà sostituito dal diritto UE. Il diritto svizzero si dissolverà lentamente ma inesorabilmente. È una disgregazione del Paese a rate. Addio democrazia diretta.
Quanto bisogna essere ingenui per aderire all’UE, versare contributi e in cambio non ottenere alcun diritto di parola? Chi, per l’amor del cielo, può avere un’idea così assurda, ideologicamente distorta o egoisticamente travisata del pacchetto Svizzera–UE? Come può una mente lucida proporre una tale sciocchezza dalla parte svizzera?
I sostenitori credono davvero che la piena adesione all’UE sarà il prossimo passo e che poi andrà tutto bene? Ma hanno fatto i conti senza l’oste, anzi senza l’UE: perché mai l’UE dovrebbe accogliere la Svizzera come membro a pieno titolo se può già averla sotto controllo – senza concederle voce in capitolo? Questo sì che è un affare dolce: come un Berliner farcito – la Svizzera come ripieno a sorpresa, senza nemmeno pagarla.
Questa architettura istituzionale non ha nulla a che vedere con un rapporto paritario. È un modello di subordinazione asimmetrica. La Svizzera sarebbe giuridicamente inglobata in ambiti fondamentali, senza avere alcuna capacità di influenza. Questo non è integrare, è annettere. O se preferite: sottomettere.
E il colmo è questo: la Svizzera lo fa senza alcuna necessità. Basterebbe un reciproco riconoscimento degli ordinamenti giuridici. Senza sacrificare la sovranità. In modo semplicemente collaborativo, come fanno da tempo altri Paesi europei – se non venissero ostacolati da un’organizzazione sovranazionale fuori controllo. Me lo chiedo di continuo: perché, in nome del cielo, la Svizzera si sta consegnando da sola?
La Svizzera come sistema senza spina dorsale.
Gerhard Pfister ha ragione quando afferma che i trattati vanno esaminati a fondo. Ma si ritira prima ancora che la discussione abbia inizio. Ora è diventato critico al club letterario della televisione svizzera. Con tutto il rispetto, signor Pfister: è grottesco. Non si può influenzare la politica per anni e poi farsi da parte proprio nel momento decisivo. Eppure Pfister lo fa. Dobbiamo accettarlo. Con la speranza che il suo nuovo ruolo da osservatore gli dia la giusta distanza per tornare, come consigliere nazionale, a essere una voce forte e credibile.
E il PS? Tace e si gode l’autodistruzione del PLR. Leggere il pacchetto? Probabilmente troppo faticoso per i giovani socialisti. I Verdi, invece, festeggiano l’adozione automatica del diritto UE in materia ambientale e di energie rinnovabili (vedi sopra), ma non si accorgono che, con la stessa logica, un giorno potrebbero vedersi imporre il nucleare. Già oggi, secondo la tassonomia dell’UE, le centrali atomiche sono classificate come «sostenibili». Basterebbe che Bruxelles integrasse tali criteri in uno degli atti giuridici da recepire automaticamente. Il PLR verde-liberale (GLP) darà il via libera, come ha già lasciato intendere Jürg Grossen. L’UDC parla - ma nessuno l’ascolta più: i suoi slogan si sono consumati. E i media? Tra comunicati copia-incolla e una prudente deferenza verso lo Stato. Qualche rara eccezione, per fortuna, porta ancora un’informazione fresca e approfondita (NZZ, Bern einfach).
E allora mi chiedo: com’è stato possibile arrivare fin qui? Come può un Paese con una democrazia diretta, con una Costituzione che all’articolo 2 garantisce l’indipendenza dall’estero, e con una lunga tradizione di sovranità, ratificare trattati di questa portata con tanta leggerezza? Com’è possibile ridurre un simile colpo di mano a un semplice iter legislativo, come spiega con tono paternalistico Simon Michel nel suo video su LinkedIn? Manca solo il gesto a triangolo di Angela Merkel con il suo «ce la faremo», e la Svizzera avrà toccato il fondo della politica tedesca. Abbiamo dimenticato come riconoscere un’emergenza democratica? O siamo tutti troppo occupati con noi stessi - e lasciamo che siano altri, come diceva il cancelliere tedesco in un altro contesto, a «sporcarsi le mani»?
Ci aspetta un brusco risveglio. Forse non oggi, ma sicuramente dopodomani.
Tre scenari si delineano.
Scenario (attualmente il più probabile): i trattati vengono approvati. Il Parlamento annuisce. L’opinione pubblica resta apatica. Il referendum arriva tardi, debole e frammentato. Il voto diventa una questione di fiducia: Confederazione o caos? Il popolo dice sì. Col tempo, la Svizzera si allinea al ribasso alla media dell’UE e fatica a contenere il declino, scivolando ancora più indietro. Perché? Perché ha di fatto rinunciato alla sua posizione di forza: la sovranità flessibile.
Scenario (molto improbabile, perché il PLR è troppo frammentato): il PLR tenta una svolta. La successione di Burkart diventa una scelta di direzione. Continuare sulla vecchia linea o tornare all’impostazione liberale originaria? Ma chi colmerà il vuoto? Chi avrà il coraggio di opporsi al proprio consigliere federale? Chi parlerà a nome dei cittadini? Probabilmente nessuno. La conseguenza: vedi scenario 1.
Scenario (altrettanto improbabile, perché troppi politici e funzionari dovrebbero perdere la faccia): nasce un nuovo dibattito. Non dai partiti, ma dal basso. Da cittadine e cittadini che ricordano che la libertà non viene consegnata in pacco, ma va conquistata ogni giorno. Sono però troppo pochi. E vengono semplicemente ignorati. Problema risolto. Si continua con lo scenario 1.
Se dopo la consultazione non ci sarà un ripensamento radicale, allora il dado sarà tratto (vedi scenari da 1 a 3). Per chi vuole resistere c’è una linea rossa invalicabile: nessun legame istituzionale senza un diritto di veto pieno e incondizionato per la Svizzera. Un opt-out è il minimo che il nostro Paese merita. Se l’UE non lo accetta, questo pacchetto va respinto. Sarebbe il vero scenario alternativo. E potrebbe ancora realizzarsi, se la Svizzera aprisse finalmente gli occhi su ciò che le sta accadendo.
Ora occorre una posizione chiara: nessuna acquisizione automatica del diritto dell’UE senza diritto di veto. Senza se e senza ma.
I trattati devono essere messi sul tavolo adesso. Non dopo il dibattito parlamentare. Non all’ombra di un’altra estate. Non nelle stanze del Palazzo federale. Non più in forma ufficiosa. Adesso, durante la consultazione, quando si può ancora discutere.
Dobbiamo chiederci: cosa significa se il diritto arriva dall’esterno, senza legittimazione democratica? Cosa significa se i trattati valgono anche se non sono mai stati discussi in Parlamento? Cosa significa se la Svizzera esternalizza a Bruxelles le sue decisioni, con un linguaggio giuridico impeccabile, ma con conseguenze esistenziali?
Serve un ritorno alla sobrietà democratica. Dobbiamo capire cosa c’è in gioco e dire chiaramente cosa non funziona. Dobbiamo riconoscere le ricette del nostro successo. Dobbiamo pretendere ciò che è necessario. E respingere ciò che mina le fondamenta del nostro Stato. Chiediamo quindi una rinegoziazione del pacchetto Svizzera-UE che elimini, almeno, questo legame istituzionale inaccettabile e contrario alla democrazia.
È in gioco la nostra libertà. Niente di più e niente di meno.
Scrivo queste righe come persona che sa quanto sia preziosa la libertà. Come persona che, in paesi come la Cina, la Russia o la DDR, forse non avrebbe potuto vivere la propria vita. Come persona che vede l’autodeterminazione anche nel poter vivere, pensare e agire diversamente dalla maggioranza. Questo è possibile solo perché abbiamo un sistema che garantisce i diritti dell’individuo - e una maggioranza che se ne assume la responsabilità. Di questo sono profondamente grato.
Il desiderio è la materia di cui sono fatti i sogni. La libertà è la forza che porta le persone al successo. La collettività le rende capaci di realizzarlo e sa che il benessere comune è più della somma dei successi individuali. La collettività rende l’individuo forte - e fiero di ciò che ha costruito. Così funziona un principio costruttivo del rendimento. Così nasce il benessere, per il maggior numero possibile di persone. Non solo per pochi. Perché solo così si moltiplica il valore reale creato. È questa la base del successo svizzero. O del sogno americano. O della rinascita cinese. Le istituzioni statali hanno un unico scopo: creare le migliori condizioni per il successo dei propri cittadini - anche dei più deboli. Se non lo fanno, perdono la loro legittimità. Diventano strutture di potere senz’anima. Umiliano le persone. Tradiscono il contratto sociale: sicurezza in cambio di tasse. Tutto il resto è arricchimento di pochi - e non ha più nulla a che fare con la libertà e la democrazia. Gli esempi sono innumerevoli. Ma la Svizzera è forse l’unico Paese al mondo che vive il modello opposto. Da secoli, con successo. Gli svizzeri sono tra i popoli più felici del pianeta.
L’UE non è un nemico. Ma un sistema che antepone l’integrazione alla democrazia non è un modello per la Svizzera. La Svizzera vive la decentralizzazione in modo pragmatico, sistematico - e con grande successo. È la nostra forma più alta di libertà in un insieme più ampio. L’UE invece tenta, malamente, di centralizzare. Riduce la libertà dei suoi membri. La limita. E concentra il potere in una burocrazia senza volto a Bruxelles. Chi, in quanto cittadino svizzero, negozia accordi di questo tipo senza esserne pienamente consapevole, ha dimenticato ciò che rende la Svizzera ciò che è.
Non è ancora troppo tardi. Possiamo ancora parlarne. La Svizzera è ancora in piedi. Ma questo pacchetto è il grilletto della sua autodissoluzione. Tacere non è più possibile. Ora è chiamata in causa la maggioranza silenziosa. Non il governo, non il parlamento, non la politica - loro possono sempre ritirarsi. Ma il popolo sovrano, lui resta. E non può dimettersi. Che almeno nessuno possa dire di non averlo saputo.
Agire ora, prima che sia troppo tardi.
Questo pacchetto non solo lacera il PLR. Smantella il controllo politico della Svizzera. Sostituisce i processi democratici con il semplice recepimento. Spezza i partiti e lascia il popolo sovrano senza protezione.
Chi non vuole vederlo, lo nega. Chi lo vede e tace, viene meno al proprio dovere. Chi lo vede e agisce, merita sostegno. Chi agisce nel modo sbagliato, deve aspettarsi una reazione. La Svizzera ha attraversato molti momenti critici nella sua storia. Questo è uno di quelli. Forse il più decisivo.
Epilogo.
Oh, santa Helvetia, cosa ti sta succedendo?
Mi chiedo perché debba essere proprio io, un semplice cittadino, a sollevare queste critiche. Mi sfugge forse qualcosa di essenziale? O sono semplicemente fuori dal tempo, e la Svizzera che conoscevo è ormai superata? Helvetia, dopo questi abbandoni, è già in viaggio verso lidi lontani, fuori dal nostro Paese? Alla luce di questo pacchetto, guardo il PLR e non riconosco più il partito che un tempo ho votato. Sì, sono deluso. Ma nutro ancora la speranza che il PLR ritrovi la propria identità e torni ad essere un partito per cui valga la pena votare.
Intanto, la consultazione è ancora in corso. I contratti non sono ancora stati firmati. C’è ancora spazio per le critiche, per il confronto e per valide alternative. Ora siamo tutti chiamati a dare il nostro contributo: i partiti, i media, i cittadini. Non più tardi. Non solo quando qualcuno lo riterrà opportuno. Perché quando questo pacchetto entrerà in vigore, lo farà con tutta la forza istituzionale. E allora non saremo più noi a decidere come rapportarci con l’Europa.
Sarà l’Europa a decidere come rapportarsi con noi.
Qui trovate gli altri nostri articoli sull’argomento, purtroppo solo in tedesco.
Das Stromabkommen im Spannungsfeld zwischen Integration und Eigenständigkeit.
Das neue Stromabkommen (Elektrizität) im Spannungsfeld zwischen Integration und Eigenständigkeit ist ein zentrales Element des Pakets Schweiz–EU. Es offenbart im Perspektivenwechsel ein unerwartetes Ausmass an gegenläufigen Erwartungen der Vertragspartner. Wer eintauchen will, dieser Artikel ist die richtige Gelegenheit dazu.
(c) 2019: Alpe Agra, Cademario, Kanton Tessin, Schweiz, Foto: Roland Voser
Orginalwortlaut Stromabkommen - hier online verfügbar.
Vor lauter Bäumen den Wald nicht mehr sehen? Wir haben die 163 Seiten des Stromabkommens ordentlich strukturiert und im Originalwortlaut der EU auf unserer Website zur Verfügung gestellt. Wir leisten damit einen Beitrag zur Lesbarkeit dieses Abkommens. Wir hoffen, dass viele so einen einfacheren Zugang dazu finden und unser Angebot nützlich ist.
Was Leo zu neuen Schlossherren aus Brüssel meint.
Ein umfassendes Paket von Abkommen zur Festigung, Vertiefung und Erweiterung der bilateralen Beziehungen der EU zur Schweizerischen Eidgenossenschaft liegt jetzt auf dem Tisch. Es bildet die Grundlage für eine folgenschwere Entscheidung der Schweiz, die es ernsthaft auszuloten gilt.
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Das Paket Schweiz-EU muss nachverhandelt werden.
Hier finden Sie die Stellungnahme von smartmyway zum Paket Schweiz-EU im Rahmen der offiziellen Vernehmlassung.
(c) 2016: Gewittersturm, Cademario, Kanton Tessin, Schweiz, Foto: Roland Voser
smartmyway unterwegs.
(c) 2017: Capanna Monte Bar, Capriasca, Kanton Tessin, Schweiz, Foto: Roland Voser

Seit 2018 Chief Editor, Mitbegründer, Verwaltungsrat und Teilhaber von smartmyway, Autor, Coach, Mentor und Berater. Vorher als Geschäftsführer von Media Markt E-Commerce AG, Media Markt Basel AG, Microspot AG sowie in den Geschäftsleitungen von Interdiscount AG und NCR (Schweiz) AG tätig. Heute Digital Business Coach und Schreiberling.
Experte für Digitalisierung, Agile SW-Entwicklung, Digital-Business, Handel, Sales & Marketing, E-Commerce, Strategie, Geschäftsentwicklung, Transformationen, Turn Around, Innovation, Coaching, erneuerbare Energien, Medien, Professional Services, Category Management, Supply Chain Management